Fotografia etnica e naturalistica
Giordano Costa
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L’archetipo stesso del paradiso terrestre, il fossile vivente di un passato remoto e glorioso della natura, l’Africa – o perlomeno i suoi parchi naturali – esercitano da sempre fascino sull’uomo. Sono tutti i sensi – vista e udito in primis – a esserne coinvolti. A differenza di altre parti del globo, dov’è il piccolo a farla da padrone, in Africa sono i grandi numeri a imporsi: Animali imponenti, mandrie enormi, spazi immensi. Da questo punto di vista, chi fotografa la natura non può rimanere deluso, l’Africa gli offre tutte le opportunità per soddisfare l’istinto di cacciatore d’immagini. Ciò che però costituisce ancora l’immaginario collettivo di una natura arcaica, immune e superiore all’uomo, è oggi purtroppo parzialmente infranto da una realtà che sembra non concedere più spazio a una natura improduttiva, fine soltanto a se stessa.  È così che anche gli ultimi grandi spazi incolti d’Africa devono arrendersi alla logica del profitto per sopravvivere. Su un pianeta dove le risorse devono oramai essere sfruttate aldilà dell’ecologicamente sostenibile per poter sopportare l’esplosione demografica umana, anche la natura selvaggia deve dare il suo contributo, pena la sua scomparsa. I parchi naturali d’Africa si stanno così trasformando in sorta di fabbriche di sensazioni ataviche a pagamento per turisti, dove sarà pur vero che i personaggi e il loro palcoscenico - gli animali e la natura - sono reali, ma dove è oramai la logica del profitto a dettare le regole, e l’avvento del turismo di massa, nonché le sue infrastrutture, a rompere l’incantesimo del selvaggio e incontaminato.